Note tecniche per gli appassionati di fotografia

Ho speso circa due anni, tra impegni di lavoro e COVID, per sviluppare nel tempo libero questo progetto. Quando ne ho parlato per la prima volta al circolo fotografico il mio amico Vincenzo mi ha detto: “l’idea è molto bella ma anche difficile da rappresentare in una foto, ti sfido a farlo”.
Ho raccolto la sfida e ho iniziato a immaginare come poter sviluppare questo progetto, fino a trovarmi improvvisamente una sera sul divano a scrivere più note possibili sul telefono man mano che mi venivano in mente! All’inizio erano idee frammentate, abbozzi di possibili foto, fino via via a completare il progetto e provare a dargli un inizio e una fine. Nel frattempo, per migliorare la mia tecnica e il mio bagaglio “culturale fotografico”, oltre a scambiare continui pareri con i membri del circolo, ho piano piano approcciato il mondo dei ritratti cominciando a scattare con un set casalingo, giocando con flash e luce, per cercare di capire sempre di più il fantastico mondo della fotografia.

Per quanto riguarda lo sviluppo di questa idea ho volutamente scelto il bianco e nero per concentrarmi principalmente sullo sguardo e sulle espressioni delle persone e per giocare con l’incidenza delle luci al fine di evidenziare l’espressione del protagonista. In tutte le foto dove è ritratta una singola persona ho utilizzato il diaframma più aperto possibile che l’obiettivo mi consentiva, f 2.8 o f 4, e la distanza focale maggiore che l’ambiente mi permetteva per isolare maggiormente il soggetto (principalmente lo sguardo) dall’ambiente circostante. Nelle foto invece dove il protagonista è in un contesto più corale, insieme a colleghi oppure a familiari, ho deciso di utilizzare un diaframma più chiuso, f 11, per incorporare meglio i soggetti secondari, dando cosi' più inclusione agli stessi nella foto, ma cercando di lasciare pero' sempre un minimo di sfocatura su di loro.

Anche se ho cercato di isolare il più possibile lo sguardo con una distanza focale molto ravvicinata, tutti i dettagli che si vedono nelle fotografie sono stati appositamente aggiunti sia per dare più realismo alla foto sia per creare un “caos ordinato” al fine di rappresentare meglio gli ambienti casalinghi o lavorativi.

Nella foto 1 l’acqua sulla testa del protagonista, l’asciugamano con la trama nel senso corretto e la maglietta intima che, con tutte le pieghe assume un maggiore senso di tridimensionalità e di realismo, sono tutti dettagli ricercati.

Nella foto 2 gli accessori per il trucco e l’orologio che, non sono solo stati posizionati su un marmo ricco di venature che aumenta la trama della foto, ma sono stati volutamente posizionati sul terzo inferiore e su quello di sinistra per “aumentare” il senso di realismo nella lettura da parte del nostro cervello. Ho chiesto inoltre a mia moglie di indossare una camicetta rossa, dietro consiglio di mio figlio Luca, perché trasformandola poi in bianco e nero il rosso avrebbe arricchito ulteriormente i dettagli della foto, cosa che è poi effettivamente avvenuta.

Tentando di rappresentare in questo progetto fotografico una giornata non consecutiva di una persona che ha subito una violenza oppure che l’ha causata, ho intenzionalmente scelto il formato verticale per le fotografie nelle quali è rappresentato un solo soggetto, per sottolineare maggiormente la solitudine del protagonista durante i momenti privati della routine quotidiana, mentre ho scelto uno scatto orizzontale per le immagini con più persone, per inglobare massivamente i protagonisti nella foto e per dare quasi un senso di soffocamento e/o di disagio, che queste persone possono dare inconsapevolmente alla persona che ha vissuto questo momento drammatico della propria vita. E’ per questo motivo infatti che sia la foto 3 che la foto 4 sono state scattate in orizzontale mentre le altre sono state scattate in verticale, dando quasi un andamento più fluido alla visione delle immagini da parte del pubblico.

Nella foto 3 ho cercato di catturare il senso di disagio, di frustrazione e di angoscia che una persona prova nell’affrontare una giornata lavorativa nel tentativo di non far percepire quello che ha subito e provare a chiedere aiuto per cercare di superare, anche solo parlandone, quello che le è successo. I molteplici monitor alle spalle, pieni di informazioni da analizzare, l’ufficio pieno di colleghi durante lo svolgimento di una riunione lavorativa, con sullo sfondo due di loro che sembrano intenti ad utilizzare questo momento per fare tutt’altro, non percependo quello che la protagonista sta vivendo; un collega intento a prendere i documenti da controllare con sguardo interlocutorio e severo oppure preoccupato mentre guarda la protagonista quasi a chiederle senza usare le parole: “Sei sicura? Tutto a posto? Stai bene?”, sono tutte azioni cercate e volute per rappresentare come vivere questo tipo di routine lavorativa possa ulteriormente aumentare il senso di oppressione e tormento che prova una persona durante la giornata, portando su di sé anche il peso di importanti decisioni da prendere.

Nella foto 4, invece, ho provato a rappresentare la stessa circostanza ma in ambito familiare. L’intento infatti è stato quello di fermare in uno scatto il senso di inadeguatezza che una persona prova nel vivere questo dramma nel contesto domestico purtroppo non sapendo cosa fare. Il protagonista è intento a preparare il pranzo con lo sguardo completamente estraniato da quello che sta accadendo, mentre l’acqua della pentola sta bollendo. In primo piano, ma leggermente sfocato, un familiare guarda il protagonista con atteggiamento preoccupato perché non capisce quello che sta succedendo o perché, avendo capito quello che è successo, non sa come aiutare.

La foto 5 non solo è quella che mi piace maggiormente, ma è anche quella nella quale sia io che mia moglie ci siamo immedesimati di più. Dal mio punto di vista nel cercare di farle comprendere cosa volessi catturare nella fotografia, spiegandole la situazione che stava vivendo e le emozioni che stava provando. Dal punto di vista della protagonista, mia moglie, nel provare su sé stessa quello che puo' vivere il soggetto in quel momento. E’ stata così brava nel “sentire” questa foto che ha iniziato involontariamente ad abbassare le maniche del maglione per coprirsi parzialmente le mani mentre le “raccontavo” lo scatto, per poi giustificarsi nel timore di averlo rovinato. Io le ho detto di non preoccuparsi e ho continuato a scattare fino a fermare l’espressione che stavo cercando. Nella sequenza di foto che ho fatto si vede chiaramente come cambia l’espressione diventando via via sempre più cupa, triste e distante. Tutto questo per evidenziare l’importanza di instaurare un legame con il soggetto che “interpreta”, sia dal punto di vista di condivisione del progetto sia da quello personale, fino ad arrivare a cogliere lo scatto che stai cercando. Anche qui i particolari, come la porzione di tavolino, i libri, la tazza con il cucchiaino e la bustina del tè usata sono stati inseriti non solo nella foto, ma anche posizionati su uno dei terzi per cercare di dare più “struttura” allo scatto.

Per quanto riguarda la foto 6 invece mi sono concentrato molto sulla mia postura perché ho immaginato il senso di abbandono che prova una persona quando tenta di immaginare di essere in un luogo completamente diverso, distante e lontano da tutto quello che è successo. La condensa sul vetro, le mani in chiaro scuro parzialmente inquadrate così come il gesto di spostare la tenda, con la luce che sottolinea lo sguardo, sono tutti dettagli cercati per arricchire la fotografia e per darle “consistenza”.

Menzione a parte è la gestione delle sorgenti di luci in questi scatti. Essendo infatti la luce in una foto in bianco e nero uno dei pilastri principali, per non dire forse il più importante, l’ho utilizzata per focalizzare l’attenzione di chi guarda sul soggetto principale. Nella foto 1 ho utilizzato solo la luce dei faretti del bagno posizionati nella parte alta dello specchio per dare una direzionalità decisa sul mio volto. Inoltre, essendo io abbastanza vicino alla fonte luminosa, questo ha creato un gioco di luci e ombre che ho rafforzato avvicinando il mio viso allo specchio. Chiudendo la persiana della finestra per eliminare tutta la luce ambientale, ho tolto i riflessi nello specchio con il risultato di creare un nero quasi perfetto intorno al mio volto e di “aumentare” così la distanza tra il mio corpo ed il mio riflesso. Nella foto 2 invece, sempre con la sola luce ambientale dei faretti, ho cercato non solo di evidenziare il volto di mia moglie Simona giocando con le ombre, ma anche di accennare i riflessi dei capelli per dare un senso di presenza maggiore, perché risultava essere troppo in ombra. Inoltre ho tentato di enfatizzare la trama del piano di marmo e della camicetta rossa per arricchire di dettagli “secondari” lo scatto. Se nelle foto nelle quali sono rappresentati solo i singoli protagonisti ho preferito utilizzare fonti di luce dirette ed in alcuni casi modulabili per evidenziare al meglio lo sguardo, le espressioni e la postura, nelle foto 3 e 4 invece ho preferito utilizzare in maniera molto ampia la sola luce ambientale in quanto, essendo questi due scatti gli unici che coinvolgono più persone, la diffusione di una luce ambientale più morbida ha fatto sì che i soggetti fossero più coinvolti nella foto, come inglobati, con pero' alcune eccezioni. Nella foto 3 la luce dei monitor è in evidenza per aumentare il “senso di oppressione” sulla protagonista, mentre nella foto 4 ho scelto volutamente la luce del sole diretta che entrava in cucina perché le linee verticali del sole che filtravano attraverso il vetro si sono sposate magnificamente con le linee verticali delle venature dei mobili, dando una sensazione di maggiore naturalezza alla foto.

La foto 5 invece è stata l’unica nella quale ho usato una fonte di luce artificiale. In questo caso ho utilizzato un soft box per creare una luce diretta, ma al tempo stesso morbida, per simulare una luce diurna che entra da una portafinestra. Per rendere più realistico lo scatto ho abbassato il soft box fino ad un’altezza di circa 80 cm per ricreare la direzione della luce corretta. Penso che se nella giornata di questo scatto ci fosse stata una luce migliore (in quel momento pioveva e c’era buio) avrei anche in questo caso utilizzato la sola luce ambientale. Nella foto 6 ho utilizzato la sola fonte di luce della finestra perché essendo diretta e forte mi ha permesso di sottolineare in maniera decisa il mio sguardo. Sguardo che è stato ulteriormente isolato grazie al gioco delle mani che mi ha permesso di creare delle ombre per nascondere la parte alta della testa. Anche la leggera rotazione del capo verso destra ha contribuito a portare in ombra una parte della guancia, lasciando solo lo sguardo illuminato dalla luce. Luce che comunque ha permesso di evidenziare, in parte, la trama della tenda e delle piante riflesse nel vetro arricchendo la fotografia di dettagli.

Una nota a parte la merita anche
l’idea dello “specchio”.

All’inizio, a dire il vero, avevo pensato di scrivere il testo su un semplice foglio di carta ma poi ho pensato di riportarlo su di uno specchio per far si' che, mentre la persona legge il testo, ha la possibilità di riflettersi in quello che sta leggendo. Da li' a lasciare un ovale, come spazio vuoto, che interrompe il testo per fa si' che chi legge possa riflettere tutto il suo volto nello specchio, il passo è stato veramente breve.